Il titolo non c'entra proprio niente e non ha nessun filo conduttore con tutto il romanzo. Il fatto di nominarlo nelle ricerche di Henrik il figlio morto di Louise non ha assolutamente peso nella storia, anzi, ci sta come i cavoli a merenda. Nonostante questo a me il libro è piaciuto; ho visto una spiccata introspezione dei personaggi, una buona parte Mankell l'ha dedicata al risvolto psicologico della vicenda e devo dire che ci è riuscito bene. I sentimenti di Louise e quelli di Aron, anche se il suo personaggio ha avuto vita breve, sono stati ben esposti, e spesso mi sono ritrovata con una sensazione di impotenza e tristezza nell'assorbire le emozioni di Louise, nel suo rendere pubblico il dolore per la morte del figlio, nel ravvisare in Aron, il padre del ragazzo, la stessa immaturità che le fece decidere di lasciarlo anni addietro e nel non poter fare affidamento su di lui anche in questo frangente. L'unica figura su cui può contare e suo padre, Arthur, che rispetta il suo enorme dolore e che la lascia libera di decidere e intraprendere le azioni per far luce sulla tragedia. Molti dialoghi ma anche molta introspezione; si arriva ad un finale agghiacciante, dove l'autore lascia intendere che non è assolutamente finzione quella che ha descritto nelle pagine e dove la sorte di Louise non è ben certa...sembra quasi un finale aperto per lei... Mi è piaciuto e mi sento di consigliarlo ma non da leggere con disinvoltura; lo considero una lettura 'cerebrale'.