Primo libro di King che leggo dopo trent'anni. Relegato ad autore di romanzi adolescenziali, in effetti ha un certo fascino anche se ripreso da adulti. Soprattutto quando si leggono romanzi privi di mostri soprannaturali. "Cujo" fa parte del filone realistico (come "Il gioco di Gerald", "Misery" e "Dolores Claiborne", per citarne solo alcuni), dove il "mostro" (un cane contagiato da rabbia, in questo caso) è prima di tutto vittima. Vittima di una famiglia umana discutibile, vittima delle circostanze, vittima del caso, vittima della società. La narrazione kingiana rimane, anche letta in età adulta, efficace nelle descrizioni sia della psicologia dei personaggi su cui si accanisce l'autore, sia, più in generale, della realtà provinciale depressa americana. L'escamotage narrativo vincente di King è farti conoscere i suoi personaggi: li conosci perché leggi i loro pensieri; li ascolti, empatizzi con loro, ne disprezzi gli impulsi bestiali. E alla fine, in questo romanzo, il povero San Bernardo contagiato da rabbia che diventa il "mostro" del romanzo è a ben guardare meno brutto di molti altri personaggi umani che popolano le pagine di questo lavoro. Con 100 pagine in meno, a mio parere, sarebbe stato un romanzo noir notevole.