Il testo inizia con la prima difesa di Socrate, presumibilmente verificatasi appena dopo l'arringa accusatoria di Meleto. Pessimo poeta, Meleto era il presentatore legale dell'accusa, spinto da Anito (cuoiaio e uomo politico di fede democratica e ricco mercante) assieme a Licone, oratore e astuto demagogo. Socrate qui fa sfoggio della sua famosa ironia, dichiarando di essere rimasto stupefatto dall'ars oratoria dell'accusa, al punto da non credere quasi più alla propria innocenza, sebbene sappia che essi non hanno detto nulla di vero. Lo colpisce particolarmente che l'accusa lo abbia dipinto come un ottimo oratore, ed abbia avvertito i giudici di non lasciarsi trarre in inganno: è la base di partenza da cui Socrate si lancerà in una captatio benevolentiae e in una violentissima accusa al tempo stesso. Ripetendo di parlare alla buona perché conosce poco le logiche del tribunale (ribadisce quindi implicitamente di essere un cittadino responsabile, dato che non è mai stato portato dai giudici) e di non saper dire altro che la verità, punterà gli occhi dei giudici sulle proprie doti e allo stesso tempo criticherà i sofisti, cui paragona Meleto.