Oggi parliamo di “Estasi culinarie” il primo romanzo di Muriel Burbery che è diciamo un prequel del tanto acclamato e aggiungo almeno per me favoloso “Eleganza del riccio”. Qui troviamo come protagonista il sessantottenne Monsieur Arthens inquilino del quarto piano, che è il più famoso critico gastronomico del mondo. Spietato, cinico, senza peli sulla lingua, rimembra tutta la sua vita meditando sulla fugacità del tempo triste tiranno comune. La narrazione incontra vari personaggi che ce lo presentano più o meno graziosamente, il gatto, l’amante, i famigliari, l’allievo e l’immancabile portinaia Renèe. Nel libro si sente molto l’autocelebrazione di Arthens che pensa di aver elevato un’arte minore quale arte culinaria alla più prestigiosa della terra, con i suoi consigli, piatti e prelibatezze. Tra l’odio comune delle persone che lo circonda solo una persona ha la sua stima e grazia, il nipote Paul che è causa di qualche meritato sorriso, proprio lui che diceva di non metterci troppo cuore nella cucina è stato colpito da un attacco cardiaco. Beffardo è il destino eh? Una fine non aspettava ed è proprio per questo che Muriel non stanca, anche se lo trovo minore dell’Eleganza del riccio ma comunque questa è un’opera prima. Lo stile è aulico, ricercato non banale e la Burbery sa scandagliare benissimo l’animo umano, troppo affabile davanti a un cibo ricercato, ma troppo “pietra” alcune volte davanti alle situazioni della vita.
“[a proposito del pesce alla griglia] Dire che questa carne è delicata, che ha un gusto sottile ed esuberante insieme, che solletica le gengive in un incontro di forza e dolcezza, dire che il lieve amarognolo della pelle grigliata, unito all'estrema tenerezza dei tessuti compatti, solidali e corposi, riversa in bocca il sapore dell'altrove e rende la sardina alla griglia un'apoteosi culinaria, dire tutto questo equivale né più né meno a evocare le virtù soporifere dell'oppio. L'elemento decisivo, infatti, non è la delicatezza né la dolcezza, ma la selvatichezza"
“Ed eccomi qui tra i singhiozzi, la voce rotta, il cuore a pezzi, distrutto; io ti odio e ti amo, e mi odio così tanto da urlare per questa ambivalenza, questa cazzo di ambivalenza che mi ha rovinato la vita, perché sono rimasto tuo figlio, perché non sono mai stato altro che il figlio di un mostro! Il calvario non è lasciare quelli che ti amano, ma staccarsi da quelli che non ti amano.”
“Eppure io il pomodoro lo conosco da sempre, fin dai tempi del giardino di zia Marthe, fin dalle estati che impregnavano di un sole sempre più cocente quella piccola ed esile escrescenza, fin dalla lacerazione che infliggevo con i denti per spruzzarmi sulla lingua un succo generoso, tiepido e ricco il cui altruismo genuino viene mascherato dal freddo dei frigoriferi, dall'oltraggio dell'aceto e dalla falsa nobiltà dell'olio. Zucchero, acqua, frutto, polpa, liquido o solido? Il pomodoro crudo, divorato appena colto in giardino, è la cornucopia delle sensazioni semplici, una cascata che sciama in bocca riunendo ogni piacere.”
“La perfezione è il ritorno. per questo solo le civiltà decadenti possono conoscerla: non a caso, il ritorno al cibo crudo - sublime realizzazione - è stato possibile in seno a una cultura millenaria come quella giapponese, la cui raffinatezza ha raggiunto vertici ineguagliabili e ha apportato all'umanità i più alti contributi.”
“Devono andare a cagare quei borghesi che fanno i socialisti, che vogliono la botte piena e la moglie ubriaca, l'abbonamento al teatro Chatelet e i poveri salvati dalla miseria, il tè da Mariage e l'uguaglianza degli uomini sulla terra, le vacanze in Toscana e i marciapiedi sgobri dai pungolo dei loro sensi di colpa, pagare la donna di servizio al nero e propinarci tutti quei discorsi da paladini altruisti. Lo stato, lo stato! Sono come il popolo ignorante che adora il re e accusa tutti i mali subiti solo ai cattivi ministri corrotti.(...)Troppo facile incolpare lo stato quando dovremmo accusare soltanto noi stessi!”
“[...] Eh già, io so tutte queste cose. So che sono tutti scontenti, perché nessuno ama la persona giusta, come dovrebbe essere, e non capiscono che ce l'hanno soprattutto con sé stessi.
Tutti pensano che i bambini non sanno niente. Viene da chiedersi se i grandi sono mai stati bambini.”
“Il punto non è mangiare né vivere, è sapere perché. Nel nome del padre, del figlio e del bignè, amen. Muoio.”
Non potete perdervi l’intervista all’autrice:
Il personaggio chiave del romanzo è Renée, la portinaia, che si descrive nel romanzo "vedova, bassa, brutta, grassottella". Come ha costruito questo personaggio?
In effetti questo personaggio si trovava già nel mio primo romanzo - Estasi culinarie, storia di un grande critico gastronomico in fin di vita - ma in modo sporadico (c'erano due pagine sulla portinaia).
Qualche anno dopo, rileggendo questo passaggio, ho trovato il personaggio interessante e ha avuto così una nuova vita. E particolarmente mi sono ricordata che il mio editore mi aveva detto che quando si è romanzieri si ha il diritto di fare tutto, dunque avere una portinaia che parla come Voltaire mi sembrava molto eccitante.
Analizziamo il successo che questo romanzo ha avuto, diventando di fatto un bestseller. Penso che un elemento spiazzante sia stata proprio la prospettiva, l'ottica diversa. Il fatto che ci sia un'ottica narrativa dal basso, che la storia sia raccontata da una portinaia e da una ragazzina...
Certamente e devo dire che non avevo mai pensato di presentarlo in questo modo. La cosa più piacevole e interessante è prendere il punto di vitsa di personaggi un po' a parte. In genere non si chiede a una ragazzina di dodici anni e mezzo di dare delle risposte definitve sull'arte. È questo contrasto è davvero molto piacevole.
Tra l'altro i due personaggi, la portinaia e la ragazzina hanno molti elementi in comune: entrambe si fingono mediocri e non lo sono, entrambe hanno una visione disincantata, critica nei confronti della borghesia francese che abita nel palazzo...
Questo sguardo che lei adotta nel ritrarre la borghesia francese mi ha fatto venire in mente Irene Nemirovsky .
È interessante perché è uscito la settimana scorsa un articolo su Le Monde in cui la giornalista si chiede come mai sia L'eleganza del riccio, sia i libri della Nemirovsky abbiano avuto grande successo negli Stati Uniti e fa un parallelo fra i due casi.
Le due protagoniste si conoscono grazie a un giapponese. Che rapporto ha con la cultura giapponese? Anche in Estasi culinarie dedicava una pagina al sushi.
È una cosa che risale a più di quindici o vent'anni fa. Era mio marito in verità l'innamorato del Giappone e quando ci siamo incontrati sono stata iniziata a mia volta. Sono stata affascinata da quel popolo perché i giapponesi (come i francesi e gli italiani del resto) hanno un gusto spiccato per l'eleganza.
Lì l'arte ha un ruolo molto importante, anche se l'estetica è molto diversa. Ciò che mi affascina del Giappone e della cultura giapponese è che la bellezza è prodotta con pochissimi mezzi e molta purezza.
Ed è per questo che il terzo personaggio del romanzo è un giapponese.
Il suo amore per il Giappone travalica i confini: se non erro lei abita in Giappone.
Sì, vivo da un anno e mezzo a Kyoto, che considero la città più bella del mondo, senza alcuna obiettività...
Come scrive? C'è un particolare rito, ha bisogno di tempi particolari, di luoghi...
Scrivo in modo assolutamente caotico e irregolarmente. Non ho alcuna disciplina e sono sempre stupita dal fatto che alla fine il risultato stia in piedi. Perché all'inizio non mi preoccupo assolutamente della storia. A volte scrivo la mattina, altre volte la sera tardi, con stati d'animo assai differenti: è un miracolo!
Quali sono i suoi riferimenti letterari, le sue letture di formazione?
I classici francesi, la letteratura classica francese che ho letto e riletto con passione, in particolare quella del XVII e XVIII secolo. Ma in realtà tutta la letteratura francese, dal XVI al XX secolo, che rileggo regolarmente ora che sono in Giappone per non perdere la mano.
Anche tutta la letteratura russa: Guerra e pace di Tolstoj è il mio libro da comodino e non è cambiato da vent'anni a questa parte.
E l'Italia? C'è qualche autore italiano che l'affascina?
Dante, come tutti quelli che hanno studiato un po' di letteratura italiana: annoiata a vent'anni e con molta passione a trenta. Un autore contemporaneo che amo molto è Erri De Luca, che è tradotto e pubblicato dal mio editore francese. Trovo il suo stile molto bello e potente.
Parliamo del suo stile: nel libro precedente Estasi culinarie, si dice di Arthens che è un "cesellatore di parole, fa risplendere la parola". Io ho trovato anche il suo stile un po' simile, con un gusto particolare nell'affinare la parola, nel cesellarla.
Il mio più grande piacere quando scrivo è la lingua, non la storia. È sono convinta che i lettori cerchino la storia, necessaria, ma gli scrittori inizino dalle parole. E dunque il mio piacere è questo: cesellare la lingua, e se si tratta di un piacere condiviso credo sia una cosa molto bella.
Può dirci a quale progetto letterario sta lavorando?
No, ma non perché non voglia dirglielo, ma perché io stessa lo scopro man mano che vado avanti.
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