Scrive la Woolf: “Una volta che abbiamo tradotto in inglese ogni parola di una frase in russo, e pertanto mutato leggermente il senso, e trasformato completamente il suono, il peso e l’accento delle parole, ognuna presa in relazione alle altre, non rimane niente all’infuori di una rozza e grossolana versione del senso originale”. I critici (che solo di rado hanno potuto confrontarsi con i testi originali) si sono trovati, insomma, a giudicare un’intera letteratura “denudata” del suo stile, a trattare i grandi scrittori russi come persone improvvisamente spogliate non soltanto di tutti i “vestiti”, ma di qualcosa di più sottile e più importante: i loro costumi, l’idiosincrasia dei loro caratteri. Ma non solo. C’e una cosa con cui gli inglesi, leggendo i russi, si troveranno sempre a scontrarsi: il personaggio principale di tutta la loro letteratura, l’“anima”. Questa ha poco a che fare con l’intelletto, manca di forma, è confusa, diffusa, tumultuosa, incapace, si direbbe, di sottomettersi al controllo della logica o alla disciplina della poesia. E ovunque: gli ubriaconi di Cechov se ne servono senza discrezione, in Dostoevskij e onnipresente. Non importa che si parli di una principessa o di un impiegato di banca, il russo ci riverserà sopra, calda, bollente, mischiata, meravigliosa, terribile, opprimente, l’anima umana.