In tanti ci hanno provato, ma nessuno ci è mai riuscito appieno. Solo Jane Austen può fare il verso a Jane Austen. Ed è appunto quel che sembra accadere in questo romanzo in miniatura che, è proprio il caso di dirlo, si beve tutto d'un fiato. In effetti, dietro le nuvole di cipria sollevate da signorine ammodo in cerca di marito, nel villaggio di Pammydiddle (come a dire Imbrogliopoli) è tutto un indecoroso sbevazzare, un indugiare tra carte, dadi e balli in maschera. È come se Jane Austen facesse sfilare i suoi tipici personaggi in una galleria di specchi deformanti. L'esito è impietoso per le sue creature ma esilarante per noi lettori, che in quegli specchi vediamo amplificarsi i loro difetti, i tic e le piccole manie, non a caso sottolineate con tanto di maiuscole assai sornione. In testa a tutti c'è Alice, l'eroina, la donzella di belle speranze all'apparenza ingenua, se non fosse per quelle guance rubizze, che tradiscono un'alquanto sconveniente debolezza per il vinello in cui annega i suoi spasimi d'amore. A ricambiare le sue confidenze e la sua inclinazione al battibecco è sempre pronta Lady Williams, vedova ancora giovane, che con contegno assai serioso sfoggia una rutilante propensione a sciorinare frasi squinternate e senza senso. Quanto al nobile e avvenente giovin signore, bersaglio di plurime mire amorose e patrimoniali, come non intravedere nel suo smisurato bagaglio di orgoglio e pregiudizi un Mister Darcy sopra le righe.