Le Baccanti
  • BOOK964632401
  • Istituto Nazionale del Dramma Antico
  • 1998

Le Baccanti

di Euripide

Dioniso, dio del vino, del teatro e del piacere fisico e mentale in genere, era nato dall'unione tra Zeus e Semele, donna mortale. Tuttavia le sorelle della donna e il nipote Penteo (re di Tebe) per invidia sparsero la voce che Dioniso in realtà non era nato da Zeus, ma da una relazione tra Semele e un uomo mortale, e che la storia del rapporto con Zeus era solo uno stratagemma per mascherare la "scappatella". In sostanza, quindi, essi negavano la natura divina di Dioniso, considerandolo un comune mortale. Nel prologo della tragedia, Dioniso afferma di essere sceso tra gli uomini per convincere tutta Tebe di essere un dio e non un uomo. A tale scopo per prima cosa ha indotto un germe di follia in tutte le donne tebane, che sono dunque fuggite sul monte Citerone a celebrare riti in onore di Dioniso stesso (diventando quindi Baccanti, ossia donne che celebrano i riti di Bacco, altro nome di Dioniso). Questo fatto però non convince Penteo: egli rifiuta strenuamente di riconoscere un dio in Dioniso, e lo considera solo una sorta di demone che ha ideato una trappola per adescare le donne. Invano Cadmo (nonno di Penteo) e Tiresia (indovino cieco) tentano di dissuaderlo e di fargli riconoscere Dioniso come un dio. Il re di Tebe fa allora arrestare lo stesso Dioniso (che si lascia catturare volutamente) per imprigionarlo, il dio però scatena un terremoto che gli permette di liberarsi immediatamente. Nel frattempo dal monte Citerone giungono notizie inquietanti: le donne che compiono i riti sono in grado di far sgorgare vino, latte e miele dalla roccia, e in un momento di furore dionisiaco si sono avventate su una mandria di mucche, squartandole vive con forza sovrumana. Hanno poi invaso alcuni villaggi, devastando tutto, rapendo bambini e mettendo in fuga la popolazione. Dioniso, parlando con Penteo, riesce allora a convincerlo a mascherarsi da donna per poter spiare di nascosto le Baccanti. Una volta che i due sono giunti sul Citerone, però, il dio aizza le Baccanti contro Penteo. Esse sradicano l'albero sul quale il re si era nascosto, si avventano su di lui e lo fanno letteralmente a pezzi. Non solo, ma la prima ad infierire su Penteo, spezzandogli un braccio, è sua madre Agave. Questi fatti vengono narrati a Cadmo da un messaggero che è tornato a Tebe dopo aver assistito alla scena. Poco dopo arriva anche Agave, munita di un bastone sulla cui sommità è attaccata la testa di Penteo che lei, nel suo delirio di Baccante, crede essere una testa di leone. Cadmo, sconvolto di fronte a quello spettacolo, riesce pian piano a far rinsavire Agave, che infine si accorge con orrore di ciò che ha fatto. A quel punto riappare Dioniso ex machina, che spiega di aver architettato questo piano per punire chi non credeva nella sua natura divina, e condanna Cadmo e Agave a essere esiliati in terre lontane. Con l'immagine di Cadmo e Agave che, commossi, si dicono addio, si conclude la vicenda. (Wikipedia)


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Commenti (1)

09/09/2013 - pantarei
utente
In quest'opera Euripide, giunto all'apice della sua carriera, ha voluto condannare la civiltà ateniese. Esprime sotto forma metaforica l'abbandona di quella che un tempo era la civiltà per eccellenza ai vizi umani, come la brama di potere e di conquista. L'opera è scritta negli anni della rivalità tra Atene e Sparta. Atene vuole avere l'egemonia ma finirà per essere sconfitta. Euripide parla in quest'opera della punizione per chi osa sfidare gli dei. Penteo, futuro re di Tebe (che rappresenta Atene), rifiuta il culto di Bacco ormai dilagante. Pagherà a caro prezzo l'affronto fatto al dio. Consigliata la lettura

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