“Quel che resta del giorno” di Kazuo Ishiguro è il libro che ho scelto per il libro del mese per il Club di lettura, dopo aver letto “Non lasciarmi” ed esserne stato folgorato, conteso e confuso, non potevo non leggere questo libro tanto discusso. Protagonista è il maggiordomo Stevens che descrive tutta la sua vita nella tenuta inglese di Lord Darlington. Stevens ha un carattere particolare, una vocazione, è uno stacanovista nel suo lavoro, così chi è diligente con le sue carte, chi con le fatture, chi con l’intrattenimento, così il maggiordomo impugna pezze e lustrini e fa degli oggetti domestici la sua fonte di soddisfazione. Tutto questo scorre negli anni precedenti alla seconda guerra mondiale, in una casa che è anche il simulacro di tanti accesi incontri, dibattiti, visioni di quella Gran Bretagna di Neville Chamberlain e quella Germania di Adolf Hitler. Il senso che sfugge potrebbe essere il sottotitolo di questa storia che ne snocciola e presenta il senso troppo tardivamente, l’amore ti chiama, sì avvicina, ti fa l’occhiolino, tu resti immobile, impassibile, non aneli espressioni, tutto cambia, evolve, muta. La signora Kenton è la lei bramosa, e donna ormai accomodata da una relazione al principio di passaggio ed ora di natura, che porta in grembo un bambino. La razionalità e l’immutatezza, un viaggio verso un passato ormai sparito, svanito e demonio del presente, come la colomba che spicca il volo (scena che mi ha emozionato) Stevens troppo preso dal suo mestieri e dalla sua missione sì, perché per lui era una missione, non ha aperto le sue ali e colto quel richiamo che rende tutti gli uomini veri uomini, un libro che ti entra dentro, ti scava e ti lascia riflettere ampiamente, ancora una volta Ishiguro non delude, anzi a suo modo questo libro è ancora più evocativo dell’altro letto. “Ma che senso vi è nel continuare all’infinito a far congetture su che cosa avrebbe potuto accadere se tale o tal’altro momento si fosse risolto in maniera diversa? In questo modo, forse, si può condurre se stessi alla follia. In ogni caso, mentre va benissimo parlare di “svolte decisive”, si può certo riconoscere tali momenti solo guardando ad essi retrospettivamente. […] Piuttosto, era come se uno avesse a disposizione un numero interminabile di giorni, mesi e anni […] un numero infinito di ulteriori opportunità durante le quali rimediare agli effetti di questo o quel fraintendimento. Non vi era certamente nulla, all’epoca, che indicasse che tali in apparenza piccoli incidenti avrebbero reso irrealizzabili dei grandi sogni, e per sempre.”