Ho impiegato anni per leggere questo romanzo perché, ogni volta che lo iniziavo, scoprivo che non era giunto il suo momento e lo mettevo da parte in favore di altre letture. Ora l'ho finito e sono più che soddisfatta perché si tratta di un romanzo bellissimo che tratta di peste, una malattia, il cui solo nome, ci fa subito tornare al passato e pensare che oggi non esiste più e quindi il dottore si è sicuramente sbagliato. E invece esiste eccome, e ciò che è ancora più grave è che oltre alla malattia della peste propriamente detta, esiste anche quell'altro tipo di peste che imputridisce i cuori e la mente delle persone. Questo è dunque un romanzo quanto mai attuale in cui viene messa alla prova la fede di padre Paneloux, emergono piccoli eroi come Castel, persone che continuano a prodigarsi per gli altri, come Rieux, nonostante le difficoltà che anch'esse si trovano a fronteggiare, e gente come Cottard che dalla peste traggono profitto e sperano che duri il più a lungo possibile. Ma, come dicevo, la malattia è solo un pretesto che Camus usa per dimostrarci che quando l'odio, la paura e la violenza prendono il comando nessuno viene risparmiato e tutti dobbiamo prodigarci per fare in modo che il cordone sanitario che ci tiene avvinti venga infine tolto e ci permetta di essere ancora una volta liberi. Il bacillo dell'odio, come quello della peste, al contrario di quanto si possa credere è ancora vivo e vegeto. I giovani che non hanno mai vissuto il dramma del nazismo e del fascismo, delle privazioni, della giustizia sommaria non possono capire fino in fondo il messaggio che vuole trasmettere Camus, ma a me è una cosa è arrivata forte e chiara: la peste non è morta ma, se desidero che rimanga sepolta, devo stare attenta ai segnali e cercare di fare del mio meglio affinché non abbia la possibilità di risalire in superficie. Siamo tutti responsabili, sta a noi poi capire di cosa.