Trattare la tematica dei complotti, per quanto vari, bizzarri e ignoranti possano essere, non è sicuramente facile, dal momento che si registra giorno dopo giorno un fiorire di panzane in costante aumento, dalla Terra piatta ai Rettiliani, dalle scie chimiche a QAnon. Però dal segretario nazionale del CICAP ci si aspetta che affronti questa impresa nel migliore dei modi. Epperò il migliore dei modi, a mio parere, non è trasformare un saggio in un collage di citazioni di altri studiosi che hanno dibattuto sul tema. Sì, perché ciò che distingue un buon saggio da una buona tesina da studenti è che il primo dovrebbe prevalentemente mostrare ai suoi lettori il frutto delle proprie ricerche, del proprio lavoro, non il frutto del lavoro altrui. A uno studente preme dimostrare di essersi informato su un determinato tema e di avere assimilato le varie fonti autorevoli che l'hanno già sviscerato. Un autore "autorevole", invece, apporta qualcosa di nuovo su quel determinato tema, tanto da consegnare alla posterità un nuovo strumento di riflessione e dibattito. Qui, forse l'unico capitolo scritto in questo senso è l'ultimo. Un po' riduttivo per un divulgatore scientifico che ha deciso di spendere tutta la sua immagine nel culto indiscutibile del metodo scientifico, e che oltretutto cade nella trappola della religione. Allorquando si pretende di affrontare tematiche religiose ponendole sullo stesso piano delle scie chimiche, si dimostra di essere andati inevitabilmente fuori strada. La religione, qualsiasi tra quelle esistenti, non ha alcun bisogno di farsi riconoscere dal metodo scientifico: vive su un altro pianeta e si nutre di un diverso universo valoriale. Se il volume si fosse concentrato esclusivamente sui metodi scientificamente inappuntabili per sbufalare le fake news o su come affrontarle nella vita quotidiana, sarebbe stato molto meglio. E meglio ancora sarebbe stato ridurre il numero di citazioni, che non sempre conferiscono autorevolezza a un libro, soprattutto quando sono numericamente eccessive e ridondanti.