Patrimonio, una storia vera, tocca la corda delle emozioni con la forza di sempre. Lo sguardo di Philip Roth si posa sul padre ottantaseienne che, famoso per il suo vigore, il fascino, il repertorio di ricordi connessi a Newark, lotta contro un tumore al cervello destinato a ucciderlo. Il figlio, colmo d'amore, ansia e paura, accompagna il padre attraverso ogni fase del suo spaventoso viaggio finale, e nel processo mette in luce la determinazione a sopravvivere che ha caratterizzato la lunga e testarda relazione di Hermann Roth con la vita. Un compito assai arduo si pone questo romanzo, raccontarci la figura di Hermann – padre di Philip – nella sua lenta decadenza, nel suo vociferare silenzioso, nelle sue lunghe pause, per approdare nella perpetuità della quiete, la morte. La morte che non è solo quella del cuore, ma è la morte di un amore cesellato di attenzione, quelle banali, e forse insignificanti, ma che in certi momenti trovano tutto il loro profondo senso. Un rapporto che si invertirà, se prima il padre era un uomo risoluto, determinato, e con un carattere forte dopo subirà l’angheria molesta della malattia, e Philip cercherà di occuparsi al meglio di ogni suo bisogno, venendo a configurarsi come una madre per lui. Commovente su più punti, e quel ‘devo lasciarti andare’ è frutto di una consapevolezza che alla morte non si scappa neanche con l’inganno, e che nonostante tutto un Patrimonio ora e sempre resterà nella sua memoria, anche se ormai tumuli di cenere sembra essere l’unica tangibilità – falsamente -.