Nessuno come Scott Fitzgerald è riuscito a rendere meglio l'atmosfera, i personaggi e lo stile di vita di quella particolare epoca della storia americana nota come "l'età del jazz" e a raccontare le vicende dei suoi giovani protagonisti. È la generazione degli "anni ruggenti" vissuta con e tra due guerre, per lo più viziati rampolli di famiglie ricche persuasi che ormai tutti gli dèi siano caduti, che tutte le fedi siano in discussione, che ogni morale e codice comportamentale siano ipocriti e desueti. Occorre trovare altri valori, più autentici, nuovi modi espressivi, nuovi modelli. Ma è una ricerca disordinata, spesso si perde nel caos della "giostra dell'illusorio", negli eccessi, nell'autolesionismo dell'alcool e della droga, nella follia. Alla fine della loro corsa sfrenata troveranno amarissime delusioni, così come l'America del benessere e dell'euforico inseguimento del "sogno americano" precipiterà nell'abisso della grande crisi del 1929. Allora niente più lustrini e stravaganze, amori folli, atteggiamenti provocatori e disinibiti, ma solo la ricerca di un po' di sicurezza nella bufera. La meravigliosa villa bianca di Gatsby, dove tutto è perfetto, dove è perfino possibile trovare e ritrovare l'amore vero (la felicità?), è solo una facciata. È un inganno? Sembrerebbe di sì; anche la vita di Scott Fitzgerald e della sua Zelda, lui morto solo, giovane e dimenticato, lei finita in manicomio; i loro successi e fallimenti, sono simili a quelli dei personaggi dei libri.