La nausea è un romanzo di Jean-Paul Sartre, scritto nel 1932, e pubblicato, dopo numerose radicali revisioni (nel 1934, nel 1936 ed infine nel 1938), nel 1938. In origine l'opera prendeva il titolo di Melancholia, in onore dell'omonima incisione del pittore Albrecht Dürer. Fu l'editore Gallimard a chiedere all'autore di cambiare il titolo, non ritenendolo sufficientemente "affabile" per il pubblico, in La Nausea. Poiché La Nausée non è un romanzo nel senso "proprio" del termine, bensì una sorta di "diario filosofico" del protagonista, Antoine Roquentin, e vista la sua complessità interna, non è così semplice definirne una trama precisa. Tuttavia, nella prima edizione del libro fu Sartre stesso a cercare di tracciarla, nel tentativo di dare al lettore i dati essenziali della storia e dei personaggi; e lo fece con queste parole: "Dopo aver viaggiato a lungo, Roquentin si è stabilito a Bouville, tra feroci persone dabbene. Abita vicino alla stazione, in un albergo per commessi viaggiatori e scrive una tesi di storia su un avventuriero del XVIII secolo, il signor de Rollebon. Il lavoro lo porta spesso alla Biblioteca municipale dove il suo amico Autodidatta, un umanista, s'istruisce leggendo i libri in ordine rigorosamente alfabetico. La sera Roquentin va a sedersi a un tavolino del "Ritrovo dei Ferrovieri" ad ascoltare un disco - sempre lo stesso: Some of these days. E, a volte, sale in camera al primo piano con la padrona del bistrot. Da quattro anni Anny, la donna amata, è scomparsa. Pretendeva sempre di aver dei "momenti perfetti" e si sfiniva immancabilmente in sforzi minuziosi e vani per rimettere insieme il mondo intorno a lei. Si sono lasciati; attualmente Roquentin perde goccia a goccia il proprio passato, sprofondando sempre più in uno strano e losco presente. La sua stessa vita non ha più senso: credeva di avere avuto delle belle avventure, ma non ci sono più avventure, ha solo delle "storie". Si attacca al signor de Rollebon: il morto dovrebbe fornire una giustificazione al vivente. Allora comincia la sua vera avventura, una metamorfosi insinuante e dolcemente orribile di ogni sensazione; è la Nausea che vi prende a tradimento e vi fa galleggiare in una tiepida palude temporale: È stato Roquentin a cambiare? O è stato il mondo? Mura, giardini e caffè vengono bruscamente assaliti da nausea; altre volte Roquentin si sveglia in una giornata malefica: qualcosa è in putrefazione nell'aria, nella luce, nei gesti della gente. Il signor de Rollebon torna a morire; un morto non può mai giustificare un vivente. Roquentin si trascina a casaccio per le strade, corpulento e ingiustificabile. E poi, il primo giorno di primavera, capisce il senso della sua avventura: la Nausea è l'Esistenza che si svela - e non è bella a vedersi, l'Esistenza. Roquentin conserva ancora un briciolo di speranza: Anny gli ha scritto, la rivedrà. Ma Anny è diventata una cicciona greve e disperata; ha rinunciato ai suoi momenti perfetti, come Roquentin alle Avventure; anche lei, a suo modo, ha scoperto l'Esistenza: non hanno più nulla da dirsi. Roquentin torna alla solitudine, sprofondando nell'enorme Natura accasciata sulla città e di cui prevede i prossimi cataclismi. Che fare? chiamare in aiuto altri uomini? Ma gli altri uomini sono gente dabbene: si scambiano gran scappellate e ignorano d'esistere. Lui deve abbandonare un'ultima volta Some of these Days e, mentre il disco gira, intravede una possibilità, un'esile possibilità di accettarsi." In una intervista rilasciata nel 1964, Jean Paul Sartre affermò che un romanzo come La nausea non conta nulla, se nel mondo esistono bambini che muoiono di fame. Tale affermazione non possedeva alcunché di retorico ed è sicuramente più comprensibile a distanza di tempo, in particolare alla luce delle memorie di Simone De Beauvoir dedicate al filosofo e compagno di vita. Quasi nell'esordio dell'opera Cerimonia degli addii, Simone rende infatti nota l'intransigenza di Sartre che per tutta l'esistenza non smise mai di porsi in discussione e di "pensare contro se stesso". Un libro filosofico magistrale che diviene espressione e messaggio, quasi un’esortazione a non sprecare la vita senza rincorrere neanche il più stupido dei progetti, l’importante è averne almeno uno. E così: "Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea". “Gli oggetti son cose che non dovrebbero commuovere, perché non sono vive. Ci se ne serve, li si rimette a posto, si vive in mezzo ad essi: sono utili, niente di più. E a me, mi commuovono, è insopportabile. Ho paura di venire in contatto con essi proprio come se fossero bestie vive. Ora me ne accorgo, mi ricordo meglio ciò che ho provato l'altro giorno, quando tenevo in mano quel ciottolo. Era una specie di nausea dolciastra. Com'era spiacevole! E proveniva dal ciottolo, ne son sicuro, passava dal ciottolo nelle mie mani. Sì, è proprio così, una specie di nausea nelle mie mani”. “Appoggio la mia mano sulla panchina, ma la ritiro subito: essa esiste. Questa cosa sulla quale sono seduto, sulla quale appoggiavo la mano si chiama una panchina. L'hanno fatta apposta perché ci si possa sedere, hanno preso del cuoio, delle molle, della stoffa, si sono messi al lavoro, con l'idea di fare una sedia e quando hanno finito era questo che avevano fatto. L'hanno portata qui, in questa scatola, e ora la scatola viaggia e sballotta, con i suoi vetri tremolanti, e porta nei suoi fianchi questa cosa rossa. Mormoro: è una panchina, un po' come un esorcismo. Ma la parola mi rimane sulle labbra: rifiuta di andarsi a posare sulla cosa. Essa rimane quello che è, con la sua peluria rossa, migliaia di zampette rosse, all'aria, diritte, zampette morte. Questo enorme ventre girato all'aria, sanguinante, sballottato - rigonfio con tutte le sue zampe morte, ventre che galleggia in questa scatola, in questo cielo grigio, non è una panchina. Potrebbe benissimo essere un asino morto, per esempio, sballottato nell'acqua e che galleggia alla deriva, il ventre all'aria in un grande fiume grigio, un fiume da inondazione; e io sarei seduto sul ventre dell'asino e i miei piedi bagnerebbero nell'acqua chiara”. “L'essenziale è la contingenza. Voglio dire che, per definizione, l'esistenza non è la necessità. Esistere è essere lì, semplicemente: gli esistenti appaiono, si lasciano incontrare ma non li si può mai dedurre. C'è qualcuno, credo, che ha compreso questo. Soltanto ha cercato di sormontare questa contingenza inventando un essere necessario e causa di sé. Orbene, non c'è alcun essere necessario che può spiegare l'esistenza: la contingenza non è una falsa sembianza, un'apparenza che si può dissipare; è l'assoluto, e per conseguenza la perfetta gratuità. Tutto è gratuito, questo giardino, questa città, io stesso. E quando vi capita di rendervene conto, vi si rivolta lo stomaco e tutto si mette a fluttuare... ecco la Nausea”.