Avevano spento anche la luna” è il duro e poetico romanzo di Ruta Sepetys. Un romanzo delicato, appassionante e commovente, su una fetta di storia poco conosciuta ancora: la deportazione di milioni di persone durante l’occupazione sovietica. I paesi baltici hanno perso a causa di Iosif Stalin più di un terzo della popolazione. Repubbliche Baltiche: termine che impariamo sui banchi delle scuole dell’obbligo. Sta a indicare quei piccoli tre staterelli, Lettonia, Estonia e Lituania, che durante le guerre sono state spartite e dominate da diversi dominatori esterni più volte. Così presenti sui libri e nella storia, così lontani quando si pensa ai loro popoli, vittime di dittature e deportazioni. E’ negli anni Novanta che le Repubbliche Baltiche hanno conquistato la loro libertà. Preziosissima. I piccoli stati sono sbocciati, portando alla luce un popolo fiero, pacifico, creativo, desideroso di lasciarsi alle spalle le sofferenze ma di non dimenticare mai. Anzi, di raccontare al mondo ciò che hanno vissuto. Un libro che parla del più triste dei viaggi: la deportazione di migliaia di lituani, estoni e lettoni, finlandesi, ebrei ecc, verso la Siberia, i gulag e i campi di lavoro. Un romanzo doloroso che tiene incollati alle pagine. Racconta la storia di Lina e della sua famiglia, deportati dalla loro casa in Lituania fino alle più amene terre siberiane, tra lavori, violenze di ogni tipo, sporcizia, fame e freddo. Un prezioso documento sulle persecuzioni sovietiche agli stati occupati e sulla lotta di tante persone normali per non perdere la loro umanità. La scrittrice, Ruta Sepetys, si è recata in Lituania per ascoltare da veri sopravvissuti ai gulag, i campi di concentramento del comunismo, le condizioni, gli aneddoti, e le emozioni di tante voci rimaste senza voce. Purtroppo nel libro, anche se i personaggi sono di pure invenzione, molti fatti e situazioni sono tratti da esperienze autentiche. Un romanzo però che lascia un retrogusto dolceamaro, e che contiene anche un bel messaggio di lotta per la verità e per la dignità umana. Un canto d’amore per la propria terra e per la propria casa commovente e appassionato. Si calcola che Iosif Stalin abbia fatto uccidere più di 20 milioni di persone durante il suo folle regno di terrore.Quando il potere sovietico prese dominio sugli stati del Baltico, chiunque fosse solo sospettato di attività antisovietica venne deportato, torturato, ucciso, fatto morire di fame e di freddo, come era tanto in voga durante il regime sovietico. Donne e bambini rinchiusi in capanne di legno ad affrontare l’inverno siberiano. Una violenza che è intollerabile non venga condannata, processata, divulgata come è accaduto con il Nazismo. I paesi baltici hanno perso più di un terzo della popolazione durante l’occupazione sovietica. I pochi “fortunati” che sono tornati a casa, hanno visto le loro case e la loro terra occupati dai sovietici, che si erano impossessati di tutti i loro beni, delle loro case. Questo è un libro che parla della voglia di vivere. A qualunque costo. Quando attorno è stato tolto tutto. Il titolo originale del romanzo, Between Shades of Gray (“Tra sfumature di grigio”), porta l’attenzione del lettore sulla piatta linearità del paesaggio siberiano che fa da sfondo a pressoché tutta quanta la narrazione, un fondale sul quale spiccano i personaggi di una storia che si impone con tutta la sua carica espressiva. Lina, protagonista del romanzo della Sepetys, ha solo sedici anni, figlia del rettore dell’università, borghese agiata, promettente artista, si vede strappare di dosso tutto quello che possiede e sbattuta su un treno viene stipata in carri merci insieme ad altre persone neanche fossero i più spregevoli e sporchi animali. Intorno a Lina ruotano una serie di personaggi che anche con brevi pennellate vengono resi in modo marcato e preciso. Tutti hanno una funzione all’interno della storia che ne rende necessaria la presenza, sia solo quella di mostrare la crudeltà del NKVD, il Commissariato governativo sovietico (quello che poi sarebbe diventato il KGB). La memoria, come per tutti i racconti di deportazione, diventa il perno dell’intera storia. I disegni nascosti di Lina, i racconti fatti sottovoce, le lacrime gelate di queste persone diventano testimonianza di un massacro voluto, pianificato. Solo decenni dopo la Lituania e le nazioni sotto U.R.S.S. hanno avuto la possibilità di dar voce a queste storie, rimaste sepolte per anni sotto la costante paura di nuove deportazioni. “Era più difficile vivere o essere tra i sopravvissuti?Io avevo sedici, ero un’orfana in Siberia ma conoscevo la risposta. Era l’unica cosa di cui non avevo mai dubitato. Volevo vivere. Volevo vedere mio fratello crescere. Volevo rivedere la Lituania. Volevo vedere Joana. Volevo annusare il mughetto nella brezza sotto la mia finestra. Volevo dipingere nei prati. Volevo ritrovare Andrius con i miei disegni. C’erano soltanto due possibili esiti in Siberia. Il successo significava sopravvivere. Il fallimento significava morire. Io volevo la vita. Volevo sopravvivere”.